Perchè investire troppo in stock options e azioni della tua azienda è un errore

Ricevere stock options e azioni della tua azienda è una forma di remunerazione per allineare i tuoi interessi a quelli aziendali. In Italia vengono utilizzati sia dalle grandi imprese per incentivare il top management ma anche dalle più piccole per attrarre talenti allettati dal sogno di lavorare per la “prossima Google”.

L’assunzione di base è che una dipendente che riceve una parte del suo stipendio in azioni dell’azienda per cui lavora, sarà più incentivata ad adottare comportamenti che vanno a beneficio dell’azienda stessa.

Se una parte del tuo compenso è in azioni, sarai più predisposta a lavorare di più e meglio. Oltre allo stipendio vorrai contribuire a far crescere sempre di più l’azienda così da trarre un beneficio diretto dall’aumento di valore delle azioni.

Anche se spesso viene usata da filiali locali di aziende estere (per lo più americane o francesi), la stock-based compensation è una realtà che continuerà ad avere un posto di rilievo nella remunerazione di alcune categorie di dipendenti. Le nomenclature (inglesi) usate frequentemente in questo contesto sono: Stock Options e/o Restricted Stock Units.

Detenere azioni della tua azienda (o la possibilità di convertire in azioni) ha sicuramente molti aspetti positivi. Anch’io sono stato pagato con azioni in diverse occasioni durante la mia carriera. Questa esperienza diretta mi ha permesso di comprendere alcuni rischi di cui è bene essere a conoscenza. Te ne parlo in questo articolo.

Le performance dell’azienda in cui lavori non dipendono solo da te

Un’azienda, specialmente se di grandi dimensioni, va avanti grazie al contributo delle tantissime persone che ci lavorano. A meno che tu non sia l’amministratore delegato o faccia parte del vertice decisionale, l’impatto delle tue decisioni e del tuo lavoro sulle performance aziendali è molto limitato.

Una certa dose di scetticismo è salutare, anche nel caso tu riponga la massima stima e fiducia nelle persone che tengono le redini della società. Riporre troppa fiducia sul top management equivale a esporsi ai rischi legati a potenziali abusi finanziari volti a manipolare il prezzo delle azioni.

Molti sarebbero stati più cauti nell’investire troppo nelle aziende per cui hanno lavorato in passato. Questo perchè l’abuso di stock-based compensation può portare a un conflitto d’interessi tra dirigenti e investitori, poiché i primi hanno un incentivo a mantenere il prezzo delle azioni alto anche se l’azienda non sta effettivamente performando bene.

Enron è uno dei casi più noti: la compagnia utilizzava questo strumento finanziario per motivare i propri dipendenti, ma anche per nascondere i debiti e gonfiare i profitti, presentando così un’immagine falsata della propria salute finanziaria. Questa pratica è stata utilizzata da altre compagnie come WorldCom e Tyco, che hanno poi subito scandali finanziari simili al precedente.

Ma l’esempio vale in generale. Se non volessimo allontanarci troppo dal Bel Paese, troveremmo sicuramente un paio di esempi nostrani di tutto rispetto. Non è difficile immaginare le conseguenze per chi è stato dipendente Cirio o della Parmalat e avesse ricevuto stock options e/o RSU come grossa fetta del suo stipendio.

Quando si tratta dei tuoi soldi, il proverbio russo “Fidati, ma verifica” calza a pennello.

Cosa succederebbe se l’azienda dovesse andar male?

Mettere tutte le uova nello stesso paniere non è mai un buona idea. Non lo è neanche quando si tratta di investire gran parte dei tuoi soldi nell’azienda in cui già lavori a tempo pieno.

A un primo livello, c’è il discorso della diversificazione valido per tutti gli investimenti azionari. Allocare gran parte del tuo patrimonio a una sola azienda ti espone a enormi rischi. Le azioni sono strumenti il cui prezzo può subire variazioni repentine e imprevedibili. Il modo migliore per evitare brutte sorprese è diversificare questo rischio acquistando l’intero mercato tramite ETF a basso costo esposti all’azionario globale.

Se poi si tratta dell’azienda in cui lavori, il pericolo è doppio.

Non solo sei esposto al rischio di concentrazione dei tuoi asset, ma cadresti dalla padella alla brace qualora perdessi il posto di lavoro. Caso vuole che tra le realtà più avvezze all’uso della stock-based compensation vi siano quelle più pronte a licenziare i dipendenti quando le acque cominciano ad agitarsi.

Esistono restrizioni che ne limitano la liquidità

Esistono alcune situazioni in cui le azioni della tua azienda non sono “liquide”, ovvero non puoi venderle quando ti pare.

In primis c’è il caso delle aziende private. Se lavori per un’azienda che deve ancora quotarsi in borsa, potrebbe essere necessario molto tempo prima che i proprietari decidano di fare la famosa offerta pubblica iniziale (o IPO a seconda del livello di imbruttimento). Ammesso che ciò accada.

Inoltre le RSU e le Stock Options possono essere soggette a restrizioni specifiche imposte dalle autorità in materia di insider trading. Si tratta di periodi in cui i dipendenti sono limitati nel fare transazioni sui titoli dell’azienda. Un esempio sono i cosiddetti “periodi di blackout”. Queste restrizioni hanno lo scopo di prevenire eventuali abusi e manipolazioni di mercato da parte degli insider, ma possono anche limitare la liquidità delle RSU e delle Stock Options per i dipendenti che le detengono.

In altre parole, mettendo gran parte dei tuoi soldi in azioni della tua azienda, non è detto che potresti “monetizzarli” velocemente nel caso avessi bisogno di denaro contante.

La tassazione delle stock options può avere effetti devastanti

In italia le forme di stock-based compensation sono equiparate a reddito da lavoro dipendente. Si tratta di strumenti soggetti a imposizione IRPEF nel momento in cui rientrano nella disponibilità del dipendente. In realtà l’argomento è decisamente più complesso e articolato, ma preferisco semplificare anche onde evitare di dover cambiare il nome del blog in FelicitàFiscale (un brivido corre lungo la schiena mentre lo scrivo).

Sebbene questo non sia un grande problema per i detentori di RSU, lo può essere per chi esercita le stock options. I primi, infatti, sono sottoposti al cosiddetto “sell to cover”, un regime tale per cui ogni mese l’azienda vende una parte delle azioni “vested” per pagare le tasse dovute. Diverso è il discorso per le stock options.

In questo caso, il rischio di ritrovarsi a pagare più tasse del valore effettivo delle azioni possedute è alto. La fattispecie di riferimento riguarda la dipendente che decide di esercitare le opzioni mantenendo le relative azioni anziché venderle immediatamente. Ti faccio un esempio per capire meglio.

Esempio in cui conviene vendere le azioni per evitare ripercussioni fiscali

Un dipendente riceve 1.000 stock options a un prezzo di esercizio di €10 l’una. Al momento dell’esercizio delle stock options, il valore delle azioni è di €50 cad., quindi il dipendente esercita le stock options e acquista 1.000 azioni per un valore totale di €50.000.

Essendo l’azienda in fortissima crescita, il dipendente ritiene sia il caso di tenere le azioni con l’idea di venderle successivamente a un prezzo superiore rispetto a quello attuale.

Tuttavia, a causa di una crisi economica, il valore delle azioni dell’azienda scende drasticamente a €5 l’azione. Se il dipendente decidesse di vendere le azioni, incasserebbe solo €5.000, ovvero il 90% in meno rispetto al valore iniziale.

In questo caso, il dipendente potrebbe avere un grave problema di tassazione. La differenza tra il valore di mercato delle azioni al momento dell’esercizio (€50) e il prezzo di esercizio (€10) è equiparata a reddito da lavoro dipendente e quindi soggetta a tassazione IRPEF.

Ipotizzando viga l’aliquota IRPEF massima (43%), ciò comporterebbe fino a €17.200 come tassa dovuta a fronte di un investimento che oggi ne varrebbe solo €5.000. Non è un buon affare.

L’unica soluzione per mitigare questo rischio è vendere immediatamente tutte o una parte delle azioni al momento dell’esercizio delle opzioni.

E’ vero che così facendo ti precluderesti la possibilità di guadagnare da un potenziale aumento del loro prezzo. Ma non è più importante eliminare il rischio di perdita certa nel caso quest’ultimo scendesse bruscamente?

Ho fatto bene a vendere le azioni dell’azienda in cui lavoravo

Quando lavoravo per Uber, ricevevo una parte del mio stipendio in azioni. Nel 2019 l’azienda ha fatto la sua entrata al New York Stock Exchange e alcuni dipendenti hanno avuto la possibilità di vendere le proprie azioni. Molti lo hanno fatto ottenendo degli enormi guadagni. Tra questi c’è l’ex-CEO e fondatore dell’azienda.

Al tempo le azioni Uber costituivano una parte importante del mio patrimonio, e l’idea che le mie finanze dipendessero dal futuro di una sola azienda, perdipiù quella in cui lavoravo, non mi allettava affatto. Nel 2021, passati i periodi di blackout e restrizioni del caso, ho venduto le mie azioni Uber.

L’ho fatto appena ne ho avuto la possibilità per ridurre il rischio di concentrazione dei miei investimenti. Per quanto credessi nel business e nella qualità dei vertici aziendali, non intendevo in alcun modo investire così tanto in una sola impresa. Decisi di vendere immediatamente e, fortunatamente, al prezzo di 60$. Come puoi vedere dal grafico, l’azione ha avuto un tracollo dal quale non è ancora riuscita a risollevarsi.

azioni della tua azienda stock options

Aver venduto al prezzo massimo ottenendo un ottimo guadagno è stata solo fortuna perchè nessuno poteva prevedere l’andamento del titolo. Ma aver venduto alla prima occasione è stata una scelta saggia perchè mi ha permesso di ridurre la mia esposizione finanziaria a una sola azienda.

Ho subito reinvestito i proventi della vendita in ETF azionari scelti con cura. Il rischio che le azioni Uber potessero deprezzarsi drasticamente (come poi è stato) o addirittura che l’azienda fallisca del tutto era reale. Lo stesso rischio per i miei ETF nel lungo termine è pari a zero.

Quanto del tuo patrimonio dovresti tenere in azioni della tua azienda?

Non esiste un numero magico per rispondere a questa domanda. Molto dipende dalla tua propensione al rischio, da che ruolo ricopri all’interno dell’azienda e da quelle che pensi siano le prospettive future dell’azienda. E’ una scelta soggettiva.

Detto questo, non considero saggio investire più del 10% del tuo patrimonio netto in una sola azione, benché meno se si tratta anche dell’azienda per cui lavori. Crederci è una cosa importante, ma dedicare gran parte del tuo tempo alla tua azienda è già un voto di fiducia. Mettere le tue uova tutte nello stesso paniere non è mai una scelta finanziariamente saggia.

Domande e suggerimenti

Lavori per una azienda per cui ricevi parte della tua remunerazione? Ti è mai capitato di esserti pentito/a di non aver venduto prima le azioni della tua azienda? Pensi che la stock-based compensation sia uno strumento efficace per motivare correttamente i dipendenti?

Mi farebbe molto piacere avere la tua opinione. Scrivimi a info@felicitafinanziaria.it o mandami un messaggio per dirmi cosa ne pensi!

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